giovedì 14 ottobre 2010

SI VA A TRONCHI, TEMPI DA NON DIMENTICARE




Ricevo e pubblico:

Legnaro non è un paese di villeggiatura e quello che sto per raccontare non era un hobby o un divertimento, era una necessità familiare.
Questa attività, se così si vuole chiamarla, ha origini antiche, il periodo in cui si poteva svolgere era tra il 15 ottobre e il 20 dicembre: prima di questa data gli alberi sono ancora coperti dal loro fogliame, oltre le condizioni del tempo non lo permettono.
Le attrezzature erano semplici e a portata di tutti, una carriola grande e due sacchi; non doveva mai mancare una menara (ascia). Questa attività richiedeva sempre due persone, uno guidava la carriola, l’altro con una corda la tirava con tutto il suo carico. Il percorso era sempre lungo attraverso fossi e boschi, qualche volta lungo il fiume per raccogliere pezzi di legna trascinati dalle piene.
I TRONCHI sono pezzi di legna secca prelevati dalla base di un albero tagliato (detto tappara). Era severamente vietato prelevare legna dagli alberi di alto fusto e soprattutto ancora verdi. Per chi trasgrediva questa regola le punizioni erano: sequestro immediato del carico fatto e di tutta l’attrezzatura ma non solo, si doveva dare alle guardie nome e cognome.
Ultimato il carico si tornava casa, molte volte a notte fonda, stanchi sfiniti ma contenti per avere fatto un carico di TRONCHI di legna secca. Non era molto, si faceva fuoco circa una settimana. Tengo a precisare che a quei tempi esistevano anche fonti di "energia alternative": scanarei e scataruni, (sono la parte interna della pannocchia di granoturco) ottimo combustibile erano le graspaioe ( i resti dei grappoli d’uva, cioè la vinaccia), le fascine (piccoli ramoscelli di potatura), canne di granoturco legate con una stoppa, (la stroppa era una bacchettina sottile e flessibile di legno salice detto anche stroppaia).
Questo mestiere era facile e semplice da imparare, noi lo prendavamo per gioco, invece era una necessità per la famiglia. Con questo povero e umile lavoro, siamo riusciti a sopravvivere e campare per secoli. L’inverno era lungo da passare e, senza legna da ardere, sarebbe stato ancora più lungo. Molte volte l’inverno diventava corto, perché si moriva dal freddo prima che finisse, ma questo capitava in quei di case (tuguri) dove abitavano persone anziane, sole e spesse volte ammalate e inferme, non avevano certo le forze per andare a tronchi. Come si diceva allora? Amen, così sia.
Questa specie di attività, la facevano quelle famiglie che non avevano terreni per coltivare la legna anno per anno, e qui a Legnaro non erano poche. Questo lavoro era considerato umiliante, perché dimostravi di essere un bracciante agricolo ossia un morto di fame. Il bracciante agricolo non era un stipendiato come lo si può immaginare oggi, era una persona come tutte le altre, aveva le mani grandi e callose, braccia robuste, ma si faceva un mazzo così- (+)- per avere il minimo indispensabile e superare periodi stagionali freddi. Alla fine però questo lavoro era molto utile per l’ambiente: i fossi , i boschi e piccoli corsi d’acqua erano puliti e ben curati. Nei fossi, da bambini, facevamo il bagno, ora se fai il bagno nei corsi d’acqua rimani fritto per sempre.
Non mi dilungo per non essere noioso con questi miei ricordi. Voglio soltanto comunicare le differenze ambientali del nostro paese, delle nostre campagne, dei nostri corsi d’acqua dei fossi. Come lo erano quando si andava a tronchi, come lo sono quando a tronchi non si va più.
Sono passati oltre settanta anni, non abbiamo più bisogno di andare raccogliere i TRONCHI di legna e le bacchettine o di raccogliere le foglie degli alberi per fare il letto alle mucche. Ora non serve più raccogliere il sottobosco e tantomeno fare pulizia ai fossi, non vengono più curati i boschi, non viene più tagliata la legna, tutto viene lasciato in abbandono a se stesso. I fossi sono diventati topaie inagibili, alberi secchi, foglie marce hanno creano odori, producono zanzare di alta qualità. Ci sono i fossi zeppi di marciume, non solo è inquinamento, ma fa da tappo allo scorrimento delle acque piovane con conseguenze che tutti noi conosciamo.
Ora quel bracciante agricolo è verso gli ottanta anni, li porta ancora bene, lo vediamo camminare lungo quei fossi, lungo quei piccoli boschi rimasti, lungo i corsi d’acqua ; scuote la testa e parla da solo, non perché sia diventato un rimbambito ma perchè sta dicendo "Per secoli abbiamo vissuto e lavorando queste terre, fatto pulizia ai fossi e boschi con le mani e con il sudore, adesso dopo pochi decenni abbiamo tecnologie avanzate, ruspe meccaniche, scavatori, macchine agricole con controllo numerico computerizzato, macchine operatrici che da sole possono sostituire trecento braccianti agricoli. Quanti sacrifici abbiamo fatto per fare studiare i nostri figli, e loro hanno inventato mostri meccanici capaci di distruggere e modificare il nostro pianeta, distruggere le nostre campagne, i nostri fossi e boschi. Ora, studiosi e tecnici dalla capoccia grande come una zucca (O.G.M.naturalmente) sfruttano la natura, badano soltanto al profitto per interessi propri, il loro scopo non è quello di salvaguardare il benessere dell’ambiente ma, distruggere l’ambiente per creare ricchezze per pochi. Ora quei terreni, quei fossi quei boschi rimasti, quelle acque che stentano a correre nel loro letto carice di veleni, insetticidi, diserbanti, un giorno non lontano si ribelleranno e ce la faranno pagare a tutti, compresi gli artefici di tutto ci".
Ora quell’ anziano di quasi ottanta anni sta rientrando a casa dal suo giretto quotidiano , guardando verso il cielo con la mano destra chiusa a pugno batte sul petto, parla sottovoce si da la colpa di tutto ciò.
Resta a tutti noi giudicare il perché quell’anziano si dia la colpa.
Nessuno è padrone di questa terra, siamo tutti ospiti e per questo dobbiamo rispettarla e consegnarla a chi verrà dopo di noi intatta. Siamo qui soltanto di passaggio.
Anche questo è un piccolo e umile racconto vissuto e dimenticato ma non da me!! .
Vito Motti

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