venerdì 3 settembre 2010

Emigrazione





Piccola crudele storia di LEGNARO, anni 1946-50


Eravamo appena usciti da una guerra devastante che portò sull’orlo di un'altra guerra, civile però. Non solo il paese di LEGNARO ma tutta L’ITALIA.
Nel mio racconto mi limito di scrivere fatti e realtà viste, sentite e qualche volta purtroppo vissute.
Nei ruderi di case e nei casoni di paglia in quel periodo vivevano più nuclei familiari sotto lo stesso tetto; immaginate il disagio di queste persone. A casa mia, ma anche in molte altre case, in un piccolo locale con funzione di camera, dormivano dai quattro ai sei, a volte otto bambini tra fratelli, cugini e parenti.
Il letto era composto da due o da tre cavalletti, dipendeva dalla grandezza. Sopra i cavalletti si posizionavano pezzi di tavole di recupero per formare un piano. Sopra il piano veniva posizionato "el pajon". Non lo chiamo materasso, sarebbe un nome troppo nobile. "El pajon" era fatto da quattro o sei sacchi aperti e cuciti tra loro in modo da formare un grande sacco, riempito successivamente di scartossi. Gli scartossi sono l’involto della pannocchia del granoturco. Sopra ancora si posizionavano le lenzuola e le coperte. Poi, chi di testa e chi di piedi, si dormiva tutti assieme. Voglio precisare che durante il periodo invernale la temperatura interna era uguale a quella esterna, pertanto il riscaldamento era per così dire allo stato naturale, cioè costituito unicamente dal calore umano.
La cucina era un grande ambiente: quasi sempre nella parete a nord era ubicato il camino fumaiolo. Nel camino stavano appese due catene e molte volte anche tre per agganciare ad ognuna una pentola. Il numero di catene dipendeva da quanti nuclei familiari stavano in quella casa. Ogni nucleo aveva il suo tavolo dove si riuniva per consumare il pranzo o la cena, solo quando c’era da mangiare. Purtroppo in queste famiglie il disagio era catastrofico, non c’era armonia che consentisse di vivere bene. Sì, è vero, la guerra era finita, ma incominciò la guerra nelle famiglie sovrappopolate: purtroppo lo spazio era quello che era.
Il lavoro era poco. Allora qualche cosa si doveva inventare. In paese cominciò ad aprire qualche bottega di artigianato, troppo poco per le esigenze della popolazione e oramai la malavita iniziò a dilagare con conseguenze inarrestabili. Le industrie nelle zone di Padova arrivarono troppo in ritardo. L’economia del paese era basata sulla manovalanza dei braccianti agricoli, con redditi da fame. Unica via di uscita era quella dell’emigrazione. In quei tempi ci fu un passaparola da famiglia in famiglia, così sull'esempio di alcuni, molti partirono. Si trattò di emigrazione interna ed esterna. L’emigrazione interna era cioè di coloro che partirono per andare a lavorare nelle zone industriali di Milano, Torino, Bergamo, Brescia ecc. ecc. Quando un nucleo familiare decideva di partire, di preciso dove andasse non si sapeva. Le abitazioni di fortuna di quelle famiglie furono i cascinotti. Il cascinotto era un piccolo annesso rustico, spesse volte abusivo, ubicato nel mezzo delle campagne nelle periferie delle zone industriali di grandi città del nord, usato come ricovero attrezzi.
Ricordo benissimo. Le partenze erano sempre tristi, ci si abbracciava piangendo, i rancori era come non ci fossero mai stati, si dava a chi partiva tutto quello di cui potessero campare per qualche giorno. Caricavano su un piccolo camioncino con dei teli a brandelli le piccole cose di famiglia: due sedie in paglia sfilacciata, due sgabelli con tre piedi, una gabbietta con quattro galline e un coniglio, due cavalletti in legno per farsi un letto, qualche mobile per la cucina in parte marcio. I bambini venivano sistemati nella cabina con l’autista, i genitori viaggiavano nel cassone assieme alle galline avvolti con coperte e sacchi per affrontare un lungo viaggio. Non so perché partissero sempre all’imbrunire, ma lo posso immaginare.
Penso che si vergognassero di viaggiare di giorno in quelle condizioni; non volevano far vedere le vergogne che portavano con sé, e soprattutto le lacrime che scendevano sui loro volti.
L’emigrazione esterna era la più semplice e la meno dolorosa. Quasi sempre erano giovani tornati dalla guerra, o partigiani , che decidevano di partire per la Svizzera, la Francia, il Belgio, l' Argentina o l'Australia. Si procuravano una valigia di cartone, qualche soldo, salutavano i parenti più stretti, papà, mamma, fratelli e cugini e partivano cantando, sì, per non dare spazio all’emozione del pianto.
L'ufficio anagrafe del comune di Legnaro non riusciva più a gestire la situazione generata dall'emigrazione selvaggia. Intere famiglie o persone singole partirono senza comunicarlo agli uffici competenti per l’emigrazione. Alcuni di loro non sono più tornati, e negli elenchi comunali per anni risultavano presenti. Voglio precisare un particolare di notevole importanza : Alcuni
personaggi di rilievo, aderenti al sistema politico che dominò per oltre vent’anni, il regime fascista, sparirono, non si seppe mai dove fossero, non hanno mai dato notizie. Questo fatto non l’ho capito!
La data del primo censimento del dopoguerra non la ricordo, so per certo che passarono parecchi anni, e finalmente arrivarono i dati e per il comune di Legnaro le sorprese non mancarono.
Con questo mio racconto non ho fatto nessun riferimento a numeri e nomi di persone, soprattutto per rispettare la privacy.

VITO MOTTI.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Interessante.....bravo Vito.

Max.