mercoledì 5 gennaio 2011

IL TRENO E LA NEBBIA



Auguro a tutti i lettori, buon anno!
In questo periodo sono molto impegnato e ho deciso di trascurare un po' il blog. Oggi riprendo con quello che doveva essere il nostro regalo di Natale: il 10° racconto di Vito Motti. E' un racconto più lungo del solito e perciò ho deciso di pubblicarlo a puntate. Qui di seguito la prima. Seguirà a breve un intervento di Giovanni Negrato sull'impianto fotovoltaico che rende tanto suscettibile il nostro assessore ing. Righetti.

Lo sapevate che, anche a Legnaro passava il treno?
Faccio alcuni cenni di storia dei mezzi di trasporto che collegavano Legnaro a Padova e Piove di Sacco.
Prima del 1880 c’era un unico mezzo di trasporto così chiamato “Diligenza”( un lungo carrozzone tirato da due robusti cavalli,
guidati da un “Postiglione Cocchiere”), quel mezzo, oltre trasportare passeggeri, trasportava la posta da Padova per Legnaro e Piove di Sacco. Dopo il 1880 fu installata la ferrovia con la macchina a vapore della “Società Veneta Ferrovie”.
Il binario correva parallelo lungo la strada piovese.
Questo racconto è una storia vera vissuta da me stesso fu la prima volta che salii sul treno!
Ora, dopo molti anni, la voglio raccontare ai miei nipoti e non solo, soprattutto chi vive a Legnaro.
Il treno a Legnaro fu testimone di moltissime storie.
Fine ‘800 inizio ‘900 molti emigrati salirono su questo treno e partirono per le AMERICHE in cerca di fortuna, molti di loro mai più tornarono.
Il treno ha avuto un ruolo importante durante la grande guerra del 15/18 trasportando truppe, mezzi e feriti.
E’ stato il mezzo più significativo durante la guerra 40/45 e non solo, è stato artefice nella ricostruzione della nostra REPUBBLICA.
Quanti ricordi belli e brutti, ingrato il treno se li portò via con se.

Io abitavo a circa tre Km dalla ferrovia, il silenzio che regnava in quei tempi permetteva di sentire rumori da molto lontano: sentivo il treno fischiare che correva sulle rotaie. Nelle famiglie e soprattutto fra i contadini intenti a lavorare la terra, il fischio del treno stabiliva l’ora del giorno: nessuno aveva l’orologio al polso e per moltissime famiglie nemmeno nelle case esisteva un orologio.

INVERNO 1944/45.
Nel pieno inverno di nebbia con un freddo cane, alcune coraggiose donne compresa mia madre, si vestirono con un pancione grande come fossero in cinta, approfittarono della nebbia per viaggiare sul treno e, tornarono a notte fonda senza pancione. Questo mi è stato difficileda capire. Un giorno dissi a mia madre: perché non mi porti con tePadova sul treno?
lei mi disse: domani se c’è la nebbia verrai sul treno con me e andremo visitare la chiesa del Santo. Io dalla gioia facevo salti e capriole,
con me anche il mio cane Fiume saltava allegro e felice facendo capriole, come se dovesse andare anche lui al Santo a Padova.
La notte seguente non ho mai dormito, avevo paura che la nebbia andasse via, molte volte sono sceso dal letto per guardare
dalle fessure della porta se c’era la nebbia. Al mattino seguente mia madre mi svegliò: alzati che andiamo sul treno!
Di fretta mi vestì: prima una maglia e poi un’altra ancora, insomma non finiva mai a infilarmi stracci, sopra di tutto mi mise la giacca di mio padre come cappotto: dobbiamo coprirsi perché c’è la nebbia e fa molto freddo. Sembravo un pagliaccio imbottito, camminavo a gambe e braccia aperte, assomigliavo tutto al Gabibbo. Mia madre andò a casa di un nostro vicino e tornò con un pancione grande, poi arrivò Nadae Patta
con cavallo e carrozzina, salimmo sul biroccio, Nadae fece schioccare la frusta e partimmo per prendere il sospirato treno.
Arrivammo un po’ in anticipo, nella sala di aspetto, se così la si può chiamare, stava un anziano signore che fumava la pipa,
ci sedemmo su una specie di panchine fissata sul muro nero coperto con brillantini di ghiaccio.
A un certo momento si aprì uno sportellino, al di là della parete si vide un lume a petrolio acceso ( chiamato “cafin”),
lo sportello era piccolo si vedevano due mani coperte da guanti con le dita fuori, un calamaio con la penna e un timbro.
Mia madre si avvicina e disse: un biglietto andata e ritorno per Padova stazione. Io tirai il cappotto di mia madre e le dissi: due biglietti!!
Lei, con due occhi come una civetta esclama: tu sei sotto di un metro, non paghi il biglietto.
No mamma sono più alto di un metro, (come avete capito ero
sveglio come un scoato (piccola scopa); lei, con la scarpa mi pestò un piede: per fortuna avevo le sgalmarette altrimenti mi rompeva le buganse ( geloni) che avevo sul ditone.
Durante l’attesa mia madre conversava con un’atra donna,
io con un orecchio ascoltavo mia madre cosa diceva;( parlavano della gravidanza in stato di otto mesi), con l’altro orecchio
ascoltavo che arrivasse il treno. A un certo punto sentii il fischio del treno e tutti andammo fuori.
Dopo un altro fischio e il treno non si vide ancora, però uno stormo di passeri volava impaurito, cani e gatti correvano impazziti. Un cane dalla velocità non riuscì imboccare la curva giusta e si infilò tra le gambe di un cavallo che trainava un carro di fieno, il cavallo si alzò con le gambe davanti e rovesciò metà del suo carico sulla strada, poi un altro fischio, finalmente vidi la locomotiva tutta nera, sbuffava vapore da tutte le parti, sembrava un mostro di grande dimensioni inferocito, faceva paura, non solo ai cani.
Dal finestrino della locomotiva, dove stava la caldaia a carbone, usciva una testa nera barbuta che copriva tutto il finestrino, sembrava un orso: era il macchinista. Forse aspettava ordini dal capotreno per buttare carbone nella caldaia.
Dalle carrozze posteriori scendevano soldati armati, scaricavano dalla carrozza pacchi di posta, casse di legno, poi fecero scendere alcune mucche e cavalli.
Quando scesero tutti, iniziamo salire noi.
Continua.......

Saluti ferroviari Davide

1 commento:

Anonimo ha detto...

Siamo a puntate come i fotoromanzi

Metti tutto il racconto
che ci piace.

ciao