giovedì 3 dicembre 2009

" ARRIVO' CON LA POLVERE, SE NE ANDO' CON IL VENTO"

Ricevo e con immensa gioia pubblico questa storia. Parla di Legnaro, di quello che eravamo. Spero che sia un piacere per voi come lo è per me leggere queste righe, mi auguro che altri prendano spunto per scrivere le loro storie "dimenticate". Non occorre che raccontino di tanti anni fa, è interessante che parlino di Legnaro o per lo meno di legnaresi. Buona lettura.

-- LEGNARO--
- SCUOLE ELEMENTARE "Capiteo" di VOLPARO
Una piccola, povera, storia dimenticata.
Correva l'anno 1944; nel pieno della guerra, io andavo a scuola, frequentavo la terza elementare nella scuola "capiteo" di Volparo. La maestra si chiamava Faggioli. Era una donna molto elegante, alta. La sua eta  era di circa 42, 45 anni, (per noi, piccoli, aveva una certa età). Non era molto bella, era abile e intelligente, era lei la prima maestra, con funzioni di preside. Aveva una simpatia unica. Quando parlava sorrideva. Noi siamo stati cattivi lo stesso con lei: la chiamavamo signora maestra "fasui". Come vedi il dialetto veneto era la nostra prima lingua.
Verso la fine dell'ottobre del '44 (le date non me le ricordo con precisione: fa testo stagione, temperatura del periodo, modo di vestire). Ho detto modo, no moda! Ad esempio, se era caldo, si camminava scalzi, senza scarpe. Se era freddo, si usavano le "sgalmare". Le sgalmare erano una specie di scarpe con il legno sotto. Per non consumare il legno si mettevano delle brocche di ferro. Durante il periodo freddo, all'interno delle "sgalmare" si metteva la paglia per isolarle dal'umidità che assorbiva il legno. Guarda il caso, in quell'esatto periodo avevo le sgalmarette nuove, cosa che non si dimentica di certo. Era una mattina come tante altre , soffiava un po' di vento. Sono le ore undici, ci troviamo tutti fuori dalle aule, nel cortile della scuola per i quindici minuti di ricreazione. Noi bambini si sfruttava anche i secondi pur di giocare. Le maestre si mettevano da parte, raggruppate, intente alle loro conversazione. Il cortile della scuola, per tutta la sua lunghezza, confina con la strada principale via Alberto 1° (ora via 2 giugno). La strada non era asfaltata, era di ghiaia e terra. Da lontano si vide una nube di polvere spinta dal vento a velocità sostenuta: erano due soldati tedeschi su una motocicletta. Fermandosi, in acrobazie, fanno un testacoda davanti al cancello della scuola alzando un grande polverone. Velocemente scendono dalla moto e si posizionano agli angoli del cortile esterno della scuola con il fucile spianato. Le maestre preoccupate della situazione che stava per svolgersi ci dissero di non muoverci. Due minuti dopo arriva un'altra moto con la carrozzina di fianco. Noi sempre fermi impietriti pieni di paura. Nella moto stavano altri due soldati tedeschi. Uno di loro, di fretta e furia scende dalla moto e va ad aprire lo sportello della carrozzina, subito mettendosi in posizione eretta, con la mano tesa in segno di saluto. Dalla carrozzina scende un personaggio vestito elegante, un po' panciuto, di bassa statura. Aveva un impermeabile chiaro a doppio petto piuttosto lungo, stivali neri lucidi. Con un passo deciso si avvicina al cancello della scuola aspettando che quacuno apra. Compito questo del bidello Carmine. Carmine era una persona molto emotiva, parlava sempre da solo, agitando, testa, braccia e mani. Quando parlava con una maestra o persone di cultura, balbettava e non si riusiva mai a capire cosa dicesse. Era orgoglioso di essere il bidello, di fare quel mestiere e lo faceva anche bene. Portava sempre con sè due chilogrammi di chiavi allacciati alla cintura. Camminando a saltelli si appresta ad aprire il cancello, ma non trova la chiave giusta. Si notava benissimo, tremava come una foglia. Una volta trovata la chiave, le mani andavano di qua e di là, e il cancello restava sempre chiuso. Finalmente il cancello si apre, grazie ad una spinta del soldato. Prima entra il soldato e si mette in posizione eretta, braccio destro dritto e mano tesa, poi entra quel "signore", si ferma a tre passi dentro dal cancello. Lentamente si leva il cappello, si guarda intorno, direi sospettoso di qualche rappresaglia. Aveva una faccia di bronzo, pochi capelli in testa, fermo come una statua. Anzi eravamo tutti fermi come gessi. In quel momento si muovevano solo gli occhi. Si notava sulle braccia dei soldati lo stemma SS incrociato; sul serbatoio delle moto stava scritto B S A. I soldati camminavano intorno alla scuola con il fucile in posizione di sparo, come dovessero sorvegliare un personaggio di notevole importanza . Dal gruppo delle maestre si stacca la signora maestra Fasui (sembrava una scena da film:). Certamente conosceva quella persone: camminava lentamente verso il "signore", era molto pallida. Si ferma a circa un metro da quell 'uomo; si guardano negli occhi senza batter ciglio. Ad un certo punto quel personaggio inizia a parlare. Parole ben scandite e sussurate, che noi non udivamo. Noi impietriti, con il fiato quasi sospeso per non disturbare una situazione estremamente difficile. Da quella faccia di bronzo scendevano lagrime che bagnavano le rotonde guance, scendevano lungo la doppia gola e infine gocciolavano sull'impermeabile. Lei piangeva gridando, tirandosi i capelli. Ad un certo punto, tutti due, a braccia aperte si avvicinano, piangendo si abbracciano, lei crolla a terra, lui la sostiene. Le maestre, rendendosi conto della situazione imbarazzante, ci danno ordini di rientrare nelle aule e di fare silenzio. Noi bambini scioccati dal fatto, zitti zitti senza favellare, ordinati, ci mettemmo in doppia fila ed entrammo nelle nostre aule. Da dentro nelle aule, appiccicati alle finestre, si continuava a guardare la scena. Lui, questo "signore ", rimette in piedi la maestra, fa un passo indietro, si inchina, come per salutare, si gira facendo quatto passi veloci, sale sulla carrozzina. Il soldato, dopo averlo salutato con la mano tesa, si appresta a chiudere lo sportello della carrozzina, poi, con uno scatto salta sul sedile posteriore della moto che era già pronta a partire. Se ne andarono lasciando un polverone che il vento se lo portò con sè. La maestra Fasui, col capo abbassato, presa dal dolore, con un gesto di mano chiama il bidello. Carmine aveva gli occhi sbarrati, capelli dritti, camminando tutto storto. Sembrava fosse un granchio impaurito. Doveva fare un servizio: chiamare Ribon con carrozza e cavallo immediatamente . Dopo cinque minuti circa, arriva Ribon detto "el vecio" con cavallo e barrozzina scapottabile. La barrozzina era un mezzo di trasporto veloce fatto per due persone soltanto, molto molleggiata, con due ruote ricoperte di gomma dura. Sulla parte posteriore stava piegata una tela cerata che si apriva a fisarmonica per coprire l'abitacolo. La maestra si coprì la testa con un scialle nero e salì sulla carrozzina. Il vecchio con un piccolo gesto alle redini, accompagnato da un sciocco della frusta, fa partire al trotto il cavallo, lasciando dietro di sè una piccola scia di polvere e non solo, forse anche, una piccola storia dimenticata, che la polvere e il vento si portò via con sè. Oggi, dopo oltre sessant'anni, è ancora nei miei ricordi.
Vito Motti.

Saluti, GRAZIE VITO, Davide

2 commenti:

Michela ha detto...

Vito, scrivici ancora!

Anonimo ha detto...

Mi sono imbattuto per caso a leggere questo articolo, e devo dirle sig. Motti, che mi ha fatto veramente piacere ritornare con il pensiero a rivivere momenti simili a questi, che quand' ero piccolo mi venivano descritti da mio padre. Ho imparato molto da questi racconti , come l'essere contenti di quel che si ha apprezzando le cose con il giusto valore e il rispetto per il sacrificio che sono costate. Spero di poter leggere ancora sue testimonianze e La ringrazio di cuore per il suo intervento.