mercoledì 24 febbraio 2016

Un ricordo per salutare Don Marcello

Credo faccia piacere a tutti la lettura di questo articolo del Mattino di Padova del 23 febbraio 2016.



I LUNEDI DELLE PARRUCCHIERE

Nei "seccoli dei seccoli" amen 

Il ricordo di una canzone sulla gioventù bruciata di Legnaro 
di Cris Righi
Tempo fa, in una campagna lontana lontana, l'ormai disciolta “Legnaro Spolpo Blues Band” rendeva onore al proprio paesello con un pezzo tratto da “Né spiaja né cità”, loro primo e purtroppo unico album (qui il link al singolo da poco rimasterizzato: https://www.youtube.com/watch?v=e98VpKCl6Ww), “Nei seccoli dei seccoli, amen”, una canzone sulla gioventù bruciata di Legnaro e la conseguente ricerca d'identità tra sagre e nebbia. Quel che spacca davvero è il refrain finale, urlato come un mantra ai concerti da tutti i fan (alcuni dei quali sembra se lo siano pure tatuato sul petto): “Voèmo Don Marcèo, se no faxemo un macèo!”, un inno disperato al famoso Don Marcello, sacerdote pacioccone e giocoso (il titolo della canzone è un rimando all'italiano fantasioso e sbilenco che usava in chiesa) che purtroppo era stato trasferito, lasciando in paese un vuoto profondo anche per quelli che, come i tipi della “Spolpo”, tra i banchi di chiesa ci bazzicavan pochetto. Nessuno seppe mai sostiture Don Marcello e se pensiamo agli ultimi nefasti eventi legati alla parrocchia di Legnaro, la sua assenza si fa ancor più pesante. Ma è soprattutto in questi giorni che ce ne rendiamo conto perché Don Marcello, la settimana scorsa purtroppo ci ha lasciati per sempre.
Strano pensare che proprio alcuni giorni prima mi chiama mia madre, in piena esagitazione: “Cris, ti devo raccontare una storia!” Avevo capito che era una di quelle sue, ricche e succose, quelle che si scatenano già nell'anima a reclamare vita propria. Era appena tornata dalla chiesa dove, il giorno di S. Biagio, patrono di Legnaro, si portano a far benedir le arance. I banchi, come sempre, eran gremiti, soprattutto di donne con le sporte zeppe di frutti d'un bel lucente arancione: “La prima messa a cui assitemmo anni fa appena arrivati in paese fu proprio il giorno di San Biagio” -attacca- “'Vialtri si quei nòvi, 'ero? I Righi?' Era Don Marcello, di cui avevo sentito già parlare. M'aveva presa in disparte e detto d'ascoltar bene quando annunciava la benedizione: 'Te sentirè na roba beissssima, Santina!: el suono magico de deccine e deccine de cerniére, borse e sportine che e se verze tute asiéme pa far entrar l'acua santa!'” E così era stato: le parole di Don Marcello e lo scroscio che seguiva, amplificato dall'eco della chiesa. Poi, il fruscio dei piedi del buon prete, che si prendeva la briga di distribuir l'acqua di fila in fila con la dedizione d'un soldato. “Ecco, oggi” -aveva continuato mia madre- “è accaduto di nuovo: il prete ha annunciato la benedizione ed io ho sorriso, ricordandomi di Don Marcello, di quello che mi aveva raccontato quel giorno. Non appena ho udito il suono di borse che si aprivano all'unisono, mi sono commossa. E assieme a me ha cominciato a sorridere anche il cuore.”
Purtroppo, aveva concluso mia mamma, il prete nuovo di Legnaro si è limitato a pocciare l'aspersorio ed a lanciare un paio di schizzetti svogliati poco al di là dell'altare. Cosa che non era sfuggita anche a un paio di nonnine di fianco a mia mamma, evidentemente storiche ultras dello zoccolo duro “Navata nord”: “Ciò, Evelina, ma nol vien miga zo, 'sto qua?!” “Ah, no credo propio, no xe miga Don Marcéo!”, le fa
l'altra. “Sì, ma l'acua no ghe entra in tea borsa da cussì lontàn!” “Aaaah!: no xe pi' el mondo de 'na volta...” Forse le due vecchiette non faranno un macèo, quello no. Ma sì che lo rivorrebbero indietro anche loro, il nostro Don Marcello. Che riposi in pace. Nei seccoli, dei seccoli, amen.

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