venerdì 12 novembre 2010

“ZOCCOLE” DAI TACCHI di CRISTALLO DOLCE

Che strano titolo ha questo racconto, ma è una storia vera vissuta da famiglie legnaresi.
L’unica industria nella zona del “Piovese” che poteva dare lavoro stagionale era lo “ZUCCHERIFICIO di PONTELONGO”.
Il periodo della campagna di Pontelongo aveva inizio il primo agosto e terminava alla fine di ottobre. Avevano diritto di occupazione coloro che avevano una famiglia numerosa con bambini di tenera età. La nostra famiglia aveva tutti i requisiti necessari affinchè nostro padre potesse lavorare nello stabilimento.
Purtroppo non tutti potevano avere questo privilegio e lavorare circa tre mesi all’anno costituiva una boccata di ossigeno che aiutava molto a sopravvivere con un po’ di più dignità.


Arrivo subito alle “ZOCCOLE” del titolo, spero che non vi siate lasciati ingannare!
“ZOCCOLE” in questo caso non sono ragazze squillo con le scarpette di cristallo, ma ben sì “SOCOE de legno” (zoccoli) con al posto della soletta, ben quatto centimetri di zucchero cristallizzato.
Nostro padre lavorava nel reparto delle centrifughe dove veniva separata la parte zuccherina dai sottoprodotti della lavorazione della barbabietola.
Dalle centrifughe fuoriescono sempre piccole quantità di zucchero e vapori pertanto, camminando per dieci ore con le SOCOE sopra a questa pasta zuccherina, il legno delle solette veniva unto e ricoperto di zucchero fino a raggiungere spessori di cinque centimetri.
Finito il turno di lavoro papà saliva sulla bicicletta e tornava a casa; arrivato stanco sfinito si levava le socoe puzzolenti e si buttava sul letto a riposare.
La storia non finisce qui. Noi bambini, sempre ghiotti di cose dolci, camminando a gattoni, senza fare rumori per non svegliare nostro babbo, andavamo a prendersi le SOCOE risuolate di zucchero cristallizzato e dietro la casa, come piccoli roditori, si faceva pulizia dei succulenti tacchi di cristallo dolce.
Non tutte le volte però riuscivamo arrivare per primi; ad impossessarsi dei cristalli di zucchero, c'era anche un'altro pretendente in casa, un rivale in questa operazione segreta: la nostra nonna Bepa.
La nonna con un coltello separava con precisione i cristalli di zucchero dalle SOCOE, poi li metteva in una pentola con un po’ d’acqua, a fuoco lento e poi li faceva bollire per cinque dieci minuti per la sterilizzare il tutto, ed in fine con un panno pulito filtrava la parte zuccherina dalle impurità. (in sostanza faceva lo stesso lavoro delle centrifughe dello zuccherificio). La parte zuccherina era di colore marrone chiaro trasparente, alla quale aggiungeva farina in giusta quantità, due o tre cucchiai di grappa, un po’ di pepe, un pizzico di sale e mescolava tutto l’impasto con la mestola fino a che la mescola stessa potesse restare in piedi nell’impasto, poi lasciava riposare il tutto per due o tre ore.
Nel frattempo accendeva il camino (fogoaro) con canne e fascine di legno, scaldava per bene le pietre della base del camino, (esattamente come fa il pizzaiolo con il forno delle pizze). Dopo di che, spostava il fuoco all’angolo del camino lasciando libere le pietre divenute calde, le puliva per bene, e con un cucchiaio a mani nude,(i guanti in lattice non esistevano), distribuiva sopra l’impasto dolce facendo tante piccole porzioni a mo’ di piccola “motta” (montagna).
Dopo sette minuti circa, venivano sfornati così dei succosi amaretti della nonna.
Noi bambini eravamo doppiamente fortunati: la prima volta per avere avuto una nonna capace di fare amaretti e biscotti con i tacchi delle “socoe” di cristallo dolce; e la seconda volta, di avere avuto una nonna “sdentegà” (senza denti) così ci lasciava ampie porzioni di amaretti e biscotti per tutti noi nipoti.
Ciao nonna ti voglio bene..
Ho scritto questo racconto, prendendo spunto da una notizia data dalla TV, nella quale dalle statistiche effettuate, si dice, che il 30% dei generi alimentari acquistati dalle famiglie italiane, vengono buttati nella spazzatura.
Il giornalista sosteneva, che se si potesse recuperare questo 30% di spreco, si potrebbe sfamare un intero continente come l’Africa.
A mio avviso, non tutte le famiglie italiane hanno questo lusso di potersi permette di buttare nella spazzatura il 30% dei generi alimentari; io per esempio,non rientro tra questi.
Se le statistiche hanno compreso anche la mia famiglia, mi fa pensare che quello della porta accanto butta nella spazzatura il 70% di generi alimentari.
Cosa fare?
Ora sono costretto a chiamare mia nonna Bepa; che a me mi fa una severa tirata di orecchie che quasi me le leva, e a quello della porta accanto, oltre a levargli le orecchie, gli da un calcio sulla parte bassa, il lato “B”, e lo manda dritto in all’inferno, nel girone degli spreconi di cibo ( se esiste).
Anche questo piccolo racconto, è una povera e umile storia vera, che parla di vita vissuta, di quando ero “picinin”.
Vito Motti.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Vito, leggo molto volentieri i tuoi racconti vissuti che mi piacciono molto.
Sarebbe interessante per tutta la comunità legnarese raccogliere queste storie e magari catalogarle tutte in un tuo libro cosi per il paese avremmo un pò di storia vera e vissuta da far leggere alle nuove generazioni.
Complimenti ancora sei proprio un Maestro di VITA.

Anonimo ha detto...

Ciao Zio. sempre belle le tue storie!
Prova a trovare anche qualche bella foto d'epoca.
ciao
Roberto Pescarolo

Davide Bianchini ha detto...

Ho già chiesto il permesso a Vito di stampare per bene e lasciare copia dei suoi racconti in biblioteca a Legnaro. Non appena ce ne saranno abbastanza credo proprio che lo faremo.

Benedetta ha detto...

bellissimo!